Il Teatro di Shakespeare tra Pestilenze, Quarantena e Lockdown

il teatro di Shakespeare ai tempi delle pestilenze è stato ripetutamente chiuso. Quarantena e lockdown sono conosciuti nella storia sin dall'antica Grecia. Il Caso del drammaturgo e poeta William Shakespeare è un caso noto alla cronaca storica
il Teatro di Shakespeare ai tempi delle epidemie

Il teatro di Shakespeare è stato anch’esso vittima di epidemie e così è stato molte volte nella storia. Infatti, anche se i ripetuti lockdown (totali e parziali) ai quali ultimamente siamo stati sottoposti tra il 2020 e il 2021, a causa della pandemia da sars-cov-2, ci possono sembrare delle misure assolutamente uniche nella storia e per la maggior parte di noi lo sono nella “propria storia di vita”, in realtà sono stati una pratica diffusa anche in antichità. Già nell’antica Grecia, ai tempi di Pericle, si praticava il confinamento e il distanziamento sociale durante le epidemie. Di conseguenza venivano chiusi anche i teatri, proprio nel momento di piena fioritura di quel teatro greco classico di Eschilo, Sofocle ed Euripide, il quale è una pietra miliare della nostra cultura.

Queste chiusure vennero via via applicate in tante altre terribili “pestilenze” nel corso della storia e forse la più sorprendente è quella che coinvolse il drammaturgo e poeta inglese William Shakespeare, costretto a più riprese a chiudere il suo teatro, il celebre Globe Theatre, addirittura per il 60% del tempo nel corso di dieci anni. Sembrerebbe che Shakespeare concepì alcuni dei suoi capolavori, come “Re Lear” e “Macbeth”, proprio durante la peste di Londra. A sostenerlo è Andrew Dickson, autore di “The Globe guide to Shakespeare”.

Anche in era elisabettiana il palcoscenico fu ripetutamente vittima dalle ricorrenti epidemie. A quei tempi non si conosceva il veicolo del bacillo yersinia pestis, e si credeva che fossero soltanto i contatti umani a propagare il morbo, così i teatri sono stati i primi ad essere chiusi, non sapendo ancora che il più pericoloso veicolo di contagio erano le pulci dei topi. Le epidemie, nell’Europa del XVI secolo erano tutt’altro che rare, decimando una popolazione malnutrita, che in gran parte viveva in condizioni igieniche precarie.

Fu in Italia che vennero istituiti i primi “ufficiali sanitari”, che poi da temporanei divennero permanenti, e le quarantene venivano applicate per coloro che si spostavano tra città o aree specifiche. Questi funzionari civili inoltre, rendendosi conto che le folle aumentavano il contagio, adottarono delle misure per istituire quello che oggi chiamiamo “distanziamento sociale”. Raccoglievano dati dai registri parrocchiali e se i decessi superavano un certo limite proibivano feste, assemblee, gare ed ogni altro tipo di riunione di massa.

I medici raccomandavano di bruciare in casa foglie essiccate di rosmarino e di alloro per ripulire l’aria dall’infezione, e se questi non fossero stati prontamente disponibili, consigliavano di sostituirli con vecchie scarpe. Per le strade la gente andava in giro annusando arance ripiene di chiodi di garofano.

Di tutto questo, Shakespeare ne ebbe una conoscenza fin troppo immediata; infatti a partire dall’anno nel quale nacque, poco dopo la descrizione del suo battesimo nel 1564, sul registro della chiesa della Santissima Trinità di Stratford-on-Avon si leggevano le parole “Hic incepit pestis” (qui ebbe inizio la peste). Durante la sua vita, lo scrittore dovette rispettare un gran numero di quarantene, ed è probabilmente per questo che abbia usato spesso la malattia pestilenziale come metafora.

Tra il 1603 e il 1613 il Globe di Shakespeare ed altri spazi londinesi dedicati al teatro subirono quindi ripetute chiusure e intere compagnie furono obbligate a partire alla ricerca di città risparmiate dal contagio, con la paura che il morbo continuasse a perseguitarli.

Come azionista e a volte attore della sua compagnia teatrale, Shakespeare ha dovuto affrontare per tutta la sua carriera queste ripetute ed economicamente devastanti chiusure. Particolarmente gravi furono le epidemie di peste del 1582, 1592-93, 1603-04, 1606, 1608-09. Lo storico del teatro J. Leeds Barrol, con un attento vaglio di documenti ha potuto concludere che negli anni tra il 1606 e il 1610 – periodo in cui Shakespeare scrisse e rappresentò alcune delle sue più celebri opere teatrali come “Macbeth”, “Antony and Cleopatra”, “The winter’s tale” e “The Tempest” – i teatri londinesi non sarebbero rimasti aperti per più di nove mesi.

E’ sorprendente come, nelle sue opere teatrali e nelle sue poesie, Shakespeare non abbia quasi mai parlato direttamente della peste, che appare solo sotto forma di esclamazioni quotidiane o espressioni metaforiche di rabbia e disgusto, come quando Mercutio, ferito mortalmente nella faida tra i Capuleti e i Montecchi, invoca “[…] una peste su entrambe le case […]”, e quando Re Lear quasi maledice sua figlia Goneril dicendole “[…] Tu sei un bubbone, una pestilenza, o un carbonchio in rilievo nel mio sangue corrotto […]”.

La peste come evento reale è presente solo nella tragedia “Romeo e Giulietta” ed è protagonista dell’intreccio di eventi che risulterà fatale ai due giovani. Il cruciale messaggio di Fra’ Lorenzo da consegnare a Romeo esiliato a Mantova, che lo avrebbe informato della morte solo apparente di Giulietta, non gli fu mai consegnato proprio a causa di una forzata quarantena a cui vennero sottoposti i due confratelli di Fra’ Lorenzo che portavano la sua lettera. I “cercatori della città”, cioè i funzionari della sanità pubblica, sospettando che fossero stati precedentemente esposti ad un contagio di peste nel loro luogo di provenienza, li avevano letteralmente chiusi dentro, inchiodando le porte. Fu quindi questa quarantena inopportuna l’agente determinante del tragico destino dei due innamorati.

E’ anche molto rilevante un passaggio nell’opera di Shakespeare che trasmette in modo vivido ciò che potrebbe aver provato l’intera popolazione di una città caduta nella morsa di ferro della peste. Si trova in “Macbeth”, che probabilmente fu rappresentato per la prima volta nella primavera del 1606, e sembra quasi contenere l’eco dei ricordi della terribile epidemia del 1603-04, iniziata subito dopo la morte di Elisabetta I e che portò a ritardare l’ingresso a Londra del suo successore, il re scozzese Giacomo, e a rimandare i festeggiamenti per la sua incoronazione.

Alcune battute di Shakespeare proprio in “Macbeth” evocano un paese così traumatizzato da essere irriconoscibile. La cosa strana di queste righe è che non sono intese come la descrizione di un paese vittima di una peste feroce, ma in preda a un crudele sovrano. Shakespeare sembra così aver condiviso il pessimismo di Nashe, poeta e drammaturgo a lui contemporaneo, sul fatto che non ci sarebbe mai stata una soluzione medica alla peste, e da quanto sappiamo oggi della scienza del loro tempo, questo pessimismo era più che giustificato. Focalizzò quindi la sua attenzione su un’altra “piaga”, quella di essere governati da un leader incompetente, mendace, amorale e sanguinario, quasi a voler evocare nel suo immaginario la raffigurazione di una malattia dell’anima corrotta, distruttiva quanto un’epidemia di peste.

a cura di
Sabrina Mammarella Tosè

come citare questa fonte

Tosé, S.M. (2021)
Il Teatro di Shakespeare tra Pestilenze, Quarantena e Lockdown
www.palcoevisioni.com/?p=274, Roma 9 marzo 2021

Sabrina M. Tosè
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