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Fantasma d’Amore. Aspetti psicologici del film di Dino Risi del 1981, tratto dall’omonimo romanzo di Mino Milani
Fantasma d’Amore. Aspetti psicologici del film di Dino Risi del 1981, tratto dall’omonimo romanzo di Mino Milani
CINEMA E PSICOLOGIA – PER LA RUBRICA “PALCO E PSICOLOGIA”
a cura di Antonella Pedicelli e Marco Baranello
Fantasma d’Amore è un Film del 1981 diretto da Dino Risi e tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore e giornalista pavese Mino Milani (Pavia 3 febbraio 1928 – Pavia 10 febbraio 2022) del quale ricorre proprio oggi, giorno della pubblicazione di questo articolo, il 96° anniversario della nascita. Abbiamo scelto proprio “Fantasma d’Amore” come primo articolo della rubrica “Palco e Psicologia” per rendere omaggio, insieme a tutta la redazione di Palco e Visioni, all’autore del libro, scomparso due anni fa, il 10 febbraio del 2022.
Il film è sceneggiato da Dino Risi con Bernardino Zapponi, con cui Risi aveva già collaborato per “Anima Persa” e “Caro Papà“. Il regista aveva già oscurato il suo percorso di commedia all’italiana, facendo una prova ai tempi di “Mordi e Fuggi“, evidentemente era un momento di passaggio.
In “Fantasma d’Amore” Dino Risi cavalca un percorso al limite del gotico, affidandosi a un cast di assoluto richiamo come Marcello Mastroianni, che conosce bene, e Romy Schneider, garanzia di capacità interpretativa e di romanticismo. Una storia che, per i primi due terzi del film, si allinea con la realtà fenomenica, introducendo gradualmente contatti di trama che si distaccano dal consentito logico di una vita cosiddetta “normale”. Si tratta di un discorso ambiguo che inizia lentamente per poi sprofondare in un racconto che lascia il personaggio di Nino Monti (Marcello Mastroianni) dentro un involucro che lo chiuderà, sempre di più, nel pensiero invasivo che lo ha coinvolto.
Nino è un commercialista pavese, un uomo ben strutturato nel suo ruolo sociale, che si imbatte in una particolare situazione in un momento cruciale della sua vita. Forse è un momento di passaggio per l’età e quindi per tirare le somme con la vita, su quello che ha lasciato e su quello che ha acquisito. Con la giovinezza e con l’amore passionale ormai “sepolto” nei meandri del passato, Nino sembra vivere in modo “formale” tutta la sua esistenza, matrimonio compreso, nascondendo il suo “vero sé” dietro la maschera del ruolo sociale con il quale, comunque, sembra ormai identificato. Forse il corpo invecchia ma nel “cuore”, come metaforica sede delle passioni, rimane una sorta di “fiamma pilota”.
Il film è stato completamente girato a Pavia e dintorni, anche quando nel lungometraggio Nino si trova a Sondrio siamo in realtà ancora a Pavia. Il clima nebbioso della città aiuta non poco la storia e la direzione della fotografia di Tonino Delli Colli, indiscusso genio italiano, coadiuva al meglio, aiutando le atmosfere a filtrare i contenuti. Certamente non tutto è perfetto tuttavia il contenuto appassiona molto e iniziando da una traccia debordante ci fa entrare a piccoli passi nel labirinto psicologico del personaggio interpretato da Mastroianni.
Nino, per un caso del destino (o della “mente”), si trova su un bus cittadino, che di solito non prende preferendo i suoi mezzi, nel quale incontra una donna piuttosto malridotta che non ha “spiccioli” per acquistare il biglietto. Nino le presta cento lire, la donna lo guarda, lo ringrazia e gli promette di restituire. Tornato a casa riceve una telefonata da parte di quella donna che gli dice di volergli restituire i soldi prestati. Nello stesso momento si qualifica come Anna Brigatti (Romy Schneider), amore scomparso del passato di Nino. Da questo input la trama si allarga lentamente e prende forma di una più articolata storia. Tutto si complica quando Nino viene a conoscenza che Anna è morta tre anni prima. Gradualmente ogni cosa diviene più intricata, misteriosa, al limite del giallo e lo spettatore viene proiettato in un labirinto di genere gotico tutto da scoprire.
Nella sede della nostra rubrica “Palco e Psicologia” focalizzeremo l’attenzione sugli aspetti psicologici, guidati dal Dott. Marco Baranello attraverso un’intervista condotta dalla Prof.ssa Antonella Pedicelli.
Marco, chi sono i fantasmi: solo quelli che si creano nella nostra “mente” come rappresentazioni di una vita desiderata ma non realizzata, o anche coloro che sopportano mestamente una esistenza diversa da quella sognata, quella per cui il lavoro, la classe sociale di appartenenza, il convenzionalismo, i doveri morali, li allontanano spesso dal prendere scelte diverse?
Antonella, per rispondere a questa prima domanda partirei dal concetto di “mente”. Per tutti noi sembrerebbe scontato utilizzare il termine “mente” (o psiche) per indicare qualcosa che, popolarmente, viene contrapposto a “soma” quindi al corpo fisico. La mente viene concepita, dalla maggior parte delle persone, come qualcosa di immateriale, una funzione dell’organismo senza consistenza fisica. Se provassimo a chiedere, o a chiederci, di definire con chiarezza cosa sia la mente, probabilmente troveremo tanti tentativi di definizione quanti sono i soggetti interrogati. Diciamo subito che, in termini scientifici, la mente di per sé non esiste. Possiamo affermare che sia il nome attribuito a una funzione fisiologica dell’organismo. Il pensiero non è un prodotto della mente, ma un prodotto del corpo. Se pensiamo che il termine “psiche”, etimologicamente, significa “anima”, è piuttosto facile immaginare che sia il nome che l’essere umano attribuisce a qualcosa che non vede, che non può toccare, ma che in qualche misura rappresenta ciò che distingue un organismo “vivo” da uno senza più attività funzionali. Questa premessa ci aiuta anche a parlare di “fantasmi”, ovviamente al di fuori di una cornice “teologica” ma come metafora. Con “fantasma” probabilmente diamo il nome a quelle “anime” che hanno perso il loro “involucro” fisico ma che, in qualche modo, rimangono tra noi, percepibili come manifestazioni o, in alcuni casi, visibili agli occhi di chi li “può” vedere.
Così il “fantasma” può essere la rappresentazione di un “io” che non c’è più o che non è stato, un “sé stesso” del passato o immaginato oppure un “altro da sé” così come lo rappresentiamo. Se ci pensiamo bene la nostra intera vita onirica è piena di “fantasmi”, proiezioni e ricostruzioni immaginarie operate dalle funzioni del nostro organismo che, per la maggior parte di noi, svaniscono una volta aperti gli occhi. Credo che coloro che sopportano un’esistenza diversa da quella sognata non siano “fantasmi” ma attori incastrati in un ruolo che ormai li identifica agli occhi degli altri e, in fondo, anche si sé stessi mentre il fantasma è ciò che, di loro, non è più visibile.
Quale è, secondo te, il segreto della magia che avvolge la città di Pavia in questo film?
Come sai vivo a Pavia da qualche anno e quella nebbia che avvolge le strade della città oggi si vede più raramente e in pochissimi periodi dell’anno. Quando cala quella nebbia, anche oggi, le strade di Pavia acquistano una loro particolare magia, un’atmosfera di sospensione tra sogno e realtà, tra dimensioni diverse. Credo che sia proprio questo fenomeno meteorologico che favorisce il senso di magia. Questo perché il nostro organismo trasforma gli stimoli visivi e sonori del film, attraverso un processo di decodificazione, in processi multi-sensoriali di origine endogena. Così le atmosfere create dalla nebbia, i suoni nel film, i silenzio, le voci si trasformano in sensazioni molto più ampie, immersive e del tutto soggettive.
Ugo Foscolo nel suo Carme “I Sepolcri” parla di una “corrispondenza d’amorosi sensi”, per quel che riguarda il nostro legame con i defunti. Io ti chiedo, se è veramente possibile un “dialogo” con l’aldilà e se si, in quali termini?
Ricordiamo al lettore che utilizzeremo alcuni concetti sempre in senso metaforico e mai teologico. Detto questo, i defunti, dal punto di vista psicologico, rimangono all’interno della nostra dimensione. Anche i Sepolcri, tombe o monumenti, sono nella nostra dimensione, rappresentano un punto di riferimento oggettivo che illude di una sorta di presenza fisica di chi non è più con noi. Sono infatti i “vivi” che ricordano, sia a livello personale che a livello collettivo. Nel ricordo personale, o nella celebrazione, emerge esclusivamente la nostra rappresentazione. Quindi, il legame con chi non c’è più fisicamente diviene un legame intimo con la nostra specifica rappresentazione dell’altro. Parlare con un defunto significa quindi parlare con noi stessi, l’altro diviene un attore diretto da noi nel nostro mondo, nel nostro film. Dialoghiamo quindi con la nostra immagine dell’altro che “vive” virtualmente in noi e attraverso noi.
Perché, dal tuo punto di vista, Anna e Nino, i due protagonisti del film hanno rinunciato ad una possibilità di vita insieme la quale, probabilmente, avrebbe regalato loro un destino diverso?
Le loro vite sarebbero state sicuramente diverse come tipo di organizzazione; tuttavia, visto che il destino non esiste in quanto tale ma, psicologicamente, esiste soltanto a posteriori, vale a dire che guardando indietro possiamo vedere soltanto la strada realmente percorsa, non è dato sapere se sarebbero state migliori, simili o peggiori. Potremmo anche immaginare che il “destino” di Nino sarebbe potuto essere del tutto simile se non peggiore qualora Anna fosse comunque deceduta. Ricordiamo che è Nino l’elemento centrale di tutto il film e quindi dobbiamo necessariamente osservare dal suo punto di vista. Nino stesso non riesce a comprendere il motivo per il quale Anna se ne fosse andata. La cartolina che arriverà a Nino con 20 anni di ritardo, da parte di Anna, in fondo rappresenta proprio una circostanza causale che in qualche modo potrebbe suggerire il motivo di un mancato ricongiungimento. Psicologicamente, poi, Nino troverà una sua giustificazione attraverso il racconto del suo fantasma d’amore. Non è quindi importante il “perché” i due abbiano rinunciato a una vita insieme, forse è stato soltanto un caso della vita, ma il fatto che Nino abbia puntato l’attenzione su “ciò che non è stato” anziché pensare e organizzarsi in funzione del suo presente e su cosa avrebbe potuto fare per uscire fuori dal “loop” della sua attuale, e poco entusiasmante, esistenza. Si è quindi aggrappato a un’illusione, allucinando una realtà alternativa. La vita di Nino era diventata per lui una sorta di “camicia di forza”, cucita però da sé stesso, e il suo tentativo di togliersi quell’abito che lo incatenava lo ha portato a indossare soltanto un’altra “camicia di forza”, magari meno dolorosa perché chi si prenderà cura di lui ha comunque il volto, che sia reale o soltanto illusorio poco importa, di chi ha sempre amato.
Cosa rappresentano, a livello psicologico, le due figure di Anna (quella malata e quella ancora incredibilmente bella e vitale) che appaiono a Nino?
Per rispondere alla domanda pensiamo al concetto di “schizofrenia”, termine proposto da Bleuler nei primi anni del XX secolo. Schizofrenia significa etimologicamente “cervello diviso”. Le due “rappresentazioni” di Anna sono proprio derivata da un processo di “scissione” psicologica messo in atto da Nino e, allo stesso tempo, simbolizzano due aspetti della sua vita. Così le “due Anna” sono una quella del ricordo, sempre viva, bella e seducente, in grado di “far perdere la testa”. E’ la Anna che si associa a un aspetto psicologico di Nino stesso, quella passione che in un qualche “dove” ancora è presente in lui. Dall’altra abbiamo una Anna stanca, povera, pesantemente deturpata dalla vita. Pensiamo alla scena nel quale Anna chiede a Nino di Baciarla. Nino prova disgusto quando Anna, che ha anche i denti visibilmente rovinati, lo bacia, e poco dopo si pulisce la bocca e sputa in terra. Questa Anna è la vita attuale di Nino così come lui la percepisce, priva di attrattiva e disgustosa, la vita alla quale lui si è adattato, quindi la vita che ha scelto, e che oggi rifiuta.
La “follia” di Nino in quali termini può essere descritta?
Nino, commercialista, rigoroso e ben apprezzato socialmente, potremmo descriverlo come un uomo con dei tratti di tipo “ossessivo-compulsivo” di personalità. Il tratto, che ricordo non è il disturbo, ha come caratteristica centrale “il controllo”. Diremo quindi che Nino è un uomo “controllato”, fin troppo. Le persone con tali tratti possono sviluppare, soprattutto dopo la “mezza età”, sintomi di natura depressiva soprattutto quando, tirando le somme, percepissero la propria vita in modo negativo rispetto alle proprie aspettative. Ovviamente, in tale contesto, sto cercando di semplificare. La sua “follia” la quale, vista la presenza di allucinazioni, potrebbe essere confusa con disturbi di area psicotica, in particolare “Schizofrenia”, emerge in età avanzata. Questo è un dato statisticamente abbastanza raro per la schizofrenia quando non associata a una patologia organica. In genere, l’esordio tipico negli uomini è tra l’adolescenza e la prima età adulta. Questo significa che, con maggiore probabilità, potremmo considerare Nino come affetto da un “disturbo depressivo maggiore con manifestazioni psicotiche”. Comunque ci sono molti sintomi in combordibità da prendere in considerazione, soprattutto quelli di tipo dissociativo che rappresentano, per Nino, i principali processi di difesa.
Potresti descriverci cosa potrebbe rappresentare, a livello psicologico, il fiume Ticino nel film e cosa rappresenta per Pavia?
In età romana Pavia era chiamata “Ticinum” e questo credo risponda in buona misura alla seconda parte della domanda. Pavia ha un rapporto simbiotico con il fiume che lo attraversa, nel bene e nel male. Sono state diverse le piene e le esondazioni del Ticino, il quale ha addirittura sommerso più volte le case del quartiere “Borgo Ticino”. Non sono rari gli eventi in città con mostre fotografiche delle grandi esondazioni. I pavesi sembrano vivere quasi con orgoglio l’esondazione, non tanto per quanto riguarda l’evento catastrofico in sé, ovviamente, ma in funzione della capacità di non esserne vittime. Io stesso ho assistito a una piena nel 2019, fortunatamente non imponente, ma in grado di allagare il pianterreno delle case della parte bassa di Borgo Ticino, detta “Borgo Basso” e costringere gli abitanti di quella zona a servirsi di imbarcazioni essendo la strada, via Milazzo, completamente sommersa. Per tornare al film, il Ticino è presente da subito facendo da sfondo ai titoli di testa. Dal punto di vista psicologico, in “Fantasma d’Amore” esso potrebbe rappresentare il “nascosto” o meglio il tentativo di non far “venire a galla” ciò che si cerca di negare. Il fiume è il luogo del “subliminale” che si tenta di dimenticare con lo scorrere tempo (la corrente), rappresenta ciò che c’è ma che in superficie non è immediatamente visibile e che si spera possa essere trascinato lontano da noi. Così la convinzione di Nino di aver visto Anna annegare potrebbe rappresentare il tentativo di nascondere una dolorosa realtà. Le acque del Ticino, nel lungometraggio di Risi, sono quiete, come se tutto fosse sospeso e fuori dal tempo, come se il fiume fosse il custode di segreti e li tenesse in qualche modo sotto controllo anche se, come si vede nel film, non potrà nasconderli per sempre. Quando il fiume restituisce il corpo senza vita di Mario Lucchi, il labirinto psicologico di Nino sembra sembra senza via d’uscita. Nino a questo punto, come ultimo tentativo di controllare l’incontrollabile, inizia a pensare che “i fantasmi esistono, signori e signore. I morti ritornano e uccidono, anche perché sono vendicativi i morti. Ma bisogna perdonarli. Pietà per loro… Pietà per loro… Pietà per chi Ama!”.
Infine ti chiedo, in modo molto diretto: consiglieresti la visione di questo film?
Pur non ritenendo il film un capolavoro in termini assoluti ma un ottimo film, credo che le sue atmosfere suggestive, l’interpretazione della Schneider e gli spunti di riflessione di tipo psicologico che offre, lo rendano un film da immancabile tra quelli da vedere nella vita, anche più di una volta. E’ un film che sarà tanto più amato quanto più lo spettatore troverà in esso qualche legame emotivo. Inoltre è uno degli ultimi film con Romy Schneider e, in qualche misura per lei, anche tragicamente profetico.
a cura di
Antonella Pedicelli
e Marco Baranello
come citare questa fonte bibliografica
Pedicelli, A., Baranello, M. (2024)
Fantasma d’Amore. Aspetti Psicologici del film di Dino Risi del 1981.
Rubrica “Palco e Psicologia” (Cinema e Psicologia).
www.palcoevisioni.com/?p=1152. Palco e Visioni, 3 febbraio 2024.